Mafia e politica: un connubio antico e difficile da rompere
“Don_Calogero_Vizzini.gif”Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, in una recente intervista, ha affermato che se la mafia non avesse avuto rapporti con i partiti sarebbe già stata sconfitta.
L’affermazione è assolutamente veritiera, visto il radicamento sociale del fenomeno mafioso ma, purtroppo, non si intravedono cambiamenti di direzione nelle scelte politiche nonostante affermazioni e buoni propositi del governo in carica. Il Consiglio dei Ministri, ospitato nella prefettura di Reggio Calabria, ha stilato, in un disegno di legge, dieci punti per battere la mafia. Si tratta di iniziative – qualora dovessero effettivamente essere realizzate – positive; solo che sorgono dubbi non solo sulla reale volontà di perseguirli con tenacia, ma anche sulla loro efficacia se si pongono in relazione ad altre, e di segno contrastante, iniziative legislative; nonchè in assenza di una moralizzazione della politica.
Con riguardo alle norme, sicuramente vanno in direzione opposta, rispetto alla lotta al malaffare ed alla criminalità organizzata, provvedimenti come il cd “scudo fiscale; la vendita di beni confiscati; il provvedimento sul processo breve; il disegno di legge che limita l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche; la depenalizzazione di molti reati finanziari e societari; la eventuale approvazione di norme che limitano il potere dei PP.MM; la privatizzazione della pubblica amministrazione.[more]
Sul fronte della moralizzazione, necessita la forza e la capacità di arretrare nella pubblica amministrazione con la valorizzazione dei principi fondamentali della nostra costituzione repubblicana.
Anche le alleanze politiche nel mezzogiorno d’Italia dovrebbero essere attentamente soppesate e valutate da un Governo che effettivamente e realmente (e non a parole) vuole combattere la criminalità organizzata.
La permeazione “mafiosa” negli organi di governo degli enti pubblici è talmente profonda che non ha suscito alcuna reazione di allarme, nella classe politica al potere che dei voti del Mezzogiorno ha fatto “incetta”, le notizie relative all’arresto a Palermo dell’”architetto della mafia” Giuseppe Liga. In particolare il fatto che il Liga, inserito attivamente nel mondo politico e sociale dell’isola, secondo i magistrati, sarebbe il nuovo capo della mafia vincente, quella finanziari e dei colletti bianchi, che avrebbe preso il posto di quella dei corleonesi.
All’architetto, che “non ha mai interrotto la sua vita da insospettabile professionista e soprattutto da cattolico impegnato, il 2 giugno 2009, durante la campagna elettorale per le europee, al suo telefono arrivò una telefonata dalla segreteria del presidente della Regione Raffaele Lombardo. Erano le 11,25. Alle 14,50 l’architetto fu fotografato dai finanzieri mentre entrava a palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione. Si trattenne fino alla 15,25” (La Repubblica del 23.03.2010).“
Dopo l’arresto e le notizie che a lui fanno riferimento, Lombardo ha dichiarato che si costituirà parte civile (sic!).
A prescindere, da quanto sarà appurato dalle indagine circa la mafiosità dell’architetto Liga ed i suoi rapporti con il governatore Lombardo, non si può non notare come il “potere” negli enti pubblici sul territorio nazionale e, in particolare nel meridione (si tratti di comuni, province, regioni o altri settori nevralgici della vita politica) viene esercitato prevalentemente nell’interesse di parte, con uomini fedelissimi o personaggi, comunque, lottizzati e clientelizzati.
La forza degli uomini di governo meridionali e della Sicilia in particolare (si chiamino essi Scapagnini, o Cuffaro o Lombardo o con altro nome) è ben nota anche alla leadership del Popolo delle Libertà che si piega a qualsiasi compromesso pur di non perderne l’alleanza; come ricorda Giovanni Sartori, in un suo editoriale, relativo al tranquillo prosperare della mafia (Corriere della Sera dell’8 gennaio 2006), Berlusconi alle elezioni del 2001 riuscì a vincere, in Sicilia, 61 seggi su 61!
La verità è che la commistione tra mafia e politica – nel meridione ed in Sicilia – ha una lunga tradizione e radici profonde che nessuna forza politica, e tanto meno quelle che derivano dai cocci della vecchia democrazia cristiana e del partito socialista, intende recidere perché si tratta di bacini elettorali di sicuro affidamento.
Sin dalle prime votazioni avvenute dopo l’unità d’Italia, i governi hanno sempre accettato il soccorso dei “padrini” che riescono a manovrare grossi pacchetti di voti.
Gaetano Salvemini, in un noto libretto pubblicato nel 1910 si scaglia contro Giolitti che definisce “il ministro della mala vita” e traccia un quadro raccapricciante (con intimidazioni e manipolazioni del voto) delle elezioni politiche del marzo 1909 nel Mezzogiorno. A Giolitti in Sicilia il successo elettorale gli fu assicurata da Don Calogero Vizzini (nella foto),[more] definito “autentico “padrino” dell’”onorata società”.
A proposito delle votazione del 6 aprile 1924, A. Bordiga sul giornale “L’Unità” del 16 aprile 1924 ebbe a scrivere che “in Italia, e specie nel Mezzogiorno, abbiamo sempre avuto l’influenza decisiva nelle elezioni del favoritismo, della corruzione, della pastetta, della camorra e dei mazzieri”. “Queste armi sono state adoperate da tutti gli uomini o gruppi borghesi di Governo, dal liberale Giolitti al democratico Amendola. Oggi vi è il fascismo che le ha usate contro costoro”.
Questa situazione di degrado e di democrazia apparente, richiede un forte sussulto di moralità sia nel cittadino che in chi si propone a rappresentarlo. Il Governo dovrebbe avere il coraggio di rompere con una tradizione clientelare che alimenta e sostiene i gruppi mafiosi.
In un vacuo impegno di lotta alla mafia, i Governi che si sono succeduti negli ultimi 50 anni hanno solo prodotto relazioni su relazioni con le innumerevoli edizioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. La prima Commissione fu istituita dalla legge 20 dicembre 1962, n. 1720, nel corso della III legislatura. Dopo di quella commissione ne sono seguite ben otto, arrivando all’ultima istituita con la legge 4 agosto 2008, n. 132 della legislatura in corso.
Le varie commissioni hanno sfornato montagne di carta con scarsissimi risultati concreti; senza toccare mai la radice del fenomeno consistente in una cultura politica clientelare; di favoritismi; di voti di scambio; di sottosviluppo; di corruzione; di assenza di controlli nella spesa pubblica, spesso folle, dissennata e che alimenta le “cosche” mafiose.
2 commenti
Lascia un commento
Calendario
L | M | M | G | V | S | D |
---|---|---|---|---|---|---|
1 | ||||||
2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 |
9 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 | 15 |
16 | 17 | 18 | 19 | 20 | 21 | 22 |
23 | 24 | 25 | 26 | 27 | 28 | 29 |
30 | 31 |
Archivi
- Novembre 2024
- Aprile 2020
- Dicembre 2019
- Febbraio 2018
- Novembre 2017
- Marzo 2017
- Dicembre 2016
- Agosto 2016
- Luglio 2016
- Novembre 2015
- Dicembre 2014
- Marzo 2013
- Novembre 2012
- Giugno 2012
- Maggio 2012
- Aprile 2012
- Marzo 2012
- Febbraio 2012
- Gennaio 2012
- Dicembre 2011
- Ottobre 2011
- Luglio 2011
- Giugno 2011
- Maggio 2011
- Marzo 2011
- Febbraio 2011
- Gennaio 2011
- Dicembre 2010
- Novembre 2010
- Ottobre 2010
- Agosto 2010
- Luglio 2010
- Giugno 2010
- Maggio 2010
- Aprile 2010
- Marzo 2010
- Febbraio 2010
- Gennaio 2010
- Dicembre 2009
Caro Salvatore, condivido pienamente il contenuto di questo tuo scritto e mi permetto di aggiungere due riflessioni, una di carattere storico e una di carattere politologico.
Quella di carattere storico è la seguente: fermo restando tutto quanto da te detto circa il fenomeno dell’intreccio tra mafia e politica, aggiungo che quest’ultima non ha tratto giovamento dal fenomeno mafioso solo in termini elettorali di raccolta del consenso (come ben hai ricordato, chi vince le elezioni nell’Isola lo fa grazie all’instaurazione di solidi legami con il potere illegale locale). La politica non partitica ma di governo, cioè la politica delle istituzioni, quella che amministra, ha sempre tratto giovamento dal legame con la mafia perché questo le ha sempre permesso di astenersi dal governare quelle terre, così povere, arretrate, depresse, ricche di problemi di difficile soluzione. Lo Stato è sceso a patti con l’organizzazione mafiosa accettando (e addirittura auspicando) che questa si sostituisse allo Stato stesso nel governo di quei territori: imprimendo l’ordine (un ordine fondato sul malaffare, ma pur sempre ordine) e sostituendosi allo Stato nella fornitura di protezione sociale; la mafia come collocamento per chi cerca un posto di lavoro, la mafia che aiuta le famiglie di chi collabora, la mafia che concede favori (da ricambiare in modo oneroso). La mafia che come una grande madre oscura protegge e punisce, elargisce favori, garantisce privilegi e sanziona chi sbaglia. Insomma, la mafia che si sostituisce allo Stato anche nel sistema di welfare. E lo Stato questa occasione non se l’è mai lasciata scappare, accettando di buon grado il sollevamento dall’onere di controllare terre così difficili da governare.
La considerazione di carattere politologico è ahimé molto amara e carica di pessimismo circa una prospettiva di cambiamento. Purtroppo la politica oggi è determinata dall’ambizione personale di chi fa politica. A tutti i politici manca una visione organica di un’Italia da rifondare, manca un’ideologia guida: tutti sono invece spinti nella loro opera dal desiderio di affermarsi, di gestire il potere, di comandare (ambizione sempre presente nell’uomo politico, ma una volta stemperata da imperativi di carattere ideologico). Questo mi porta a concludere che un cambiamento radicale non potrebbe che passare dalla mente e dalla bocca di un politico nuovo, serio, diverso dagli attuali ma ahimé destinato a perdere: chiunque dovesse impegnarsi apertamente nel rinnovamento di questo sistema (l’intreccio mafia-politica) andrebbe incontro a sconfitta certa, si immolerebbe per una giusta causa ma non metterebbe mai le mani sul potere, insomma, non arriverebbe a impugnare lo scettro per nettare questo malcostume.
Chi dovesse intraprendere questa strada rivestirà un ruolo importante di educatore civico, cercherà di rieducare il popolo ai valori della buona amministrazione e della buona convivenza, ma politicamente sarà un martire. E i politici di oggi hanno piena contezza di questa situazione. Tanto che il politico martire, quello che si immola per educare la collettività e per ridonare al popolo la verginità civica perduta lo stiamo ancora aspettando. E per molto tempo lo aspetteremo.
Dario De Domenico.
Dario, grazie dell’intervento accurato e preciso.
Nelle mie considerazioni non mi sono avventurato in prospettive e soluzioni dello stato di degrado in cui versa il nostro paese ed, in particolare, il meridione; ma non per questo ritengo che non ci possano essere delle speranze.
Sicuramente nello stato in cui ci troviamo di degrado politico, e non solo per le infiltrazioni mafiose, è necessario un cammino lungo e, principalmente, di maturazione delle coscienze individuali, che hanno un peso molto importante in una democrazia.
Hai ragione che non possiamo pretendere dei politici “eroici”, saremmo fuori tempo; ma un graduale miglioramento – bloccandone per il momento il peggioramento – del sistema (ripartizione dei poteri; controlli reciproci tra gli organi istituzionali, autonomia dalla pubblica amministrazione, leggi giuste e rispettosi dei principi fondamentali della nostra costituzione, ecc.) questo si che noi cittadini lo possiamo e dobbiamo, dobbiamo pretendere da chiunque si propone a gestire le sorti di questo paese.