Corruzione e illegalità diffusa
“Giudizio_universale2.jpg” L’arresto, per tentata concussione, di due funzionari dell’Ufficio Provinciale di Varese dell’Agenzia delle Entrate, cade nel periodo in cui il problema “corruzione” occupa, nella cronaca italiana, il primo piano.
A distanza di diciotto anni dall’inizio di “tangentopoli”, con l’arresto di Dario Chiesa, si scopre che corruzione e intreccio mala politica-corruzione sono più vivi che mai.
Infatti, promette grandi sviluppi, e coinvolgimenti in alto luogo, l’inchiesta su appalti e tangenti della Protezione civile; a Milano è stato arrestato il consigliere comunale Pennisi perché intascava tangenti; a Vercelli è finito in cella il presidente della Provincia per concussione; i giornali riportano episodi di corruttele giornalmente.[more]
In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, la Corte dei conti fornisce i dati sull’aumento esponenziale della corruzione in Italia (nel 2009, rispetto al 2008, le denuncie per corruzione sono aumentate del 229% e quelle per concussione del 153%).
Le forze politiche al governo, nel timore di essere travolti dagli scandali, annunciano l’inasprimento di pene per questo o quell’altro reato; nel contempo si portano avanti proposte di leggi contraddittorie ed episodiche. Le amministrazioni coinvolte – a motivo dei propri politici o funzionari scoperti con le mani nel sacco – si affrettano a prendere le distanze dai “birbantelli” o (più perentoriamente) dai corrotti; peraltro allevati al loro interno.
Ma qual’è la ragione vera di questo dilagante fenomeno? La causa della corruzione è da ricercare nelle leggi inadeguate? E’ la società particolare in cui viviamo che ha subito delle degenerazioni? Possiamo venir fuori da una situazione che, a confronto con altri periodi e realtà sociali, può definirsi patologica e con quali strumenti?
Come una intera società può invertire un cammino che tutti vedono perverso ed autodistruttivo?
Nei giorni di maggiore risalto, per la cronaca, del fenomeno sui giornali diversi analisti hanno attribuito “l’emergenza corruzione” a vari fattori, di volta in volta, ritenuti decisivi e fondamentali.
E. Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 17 febbraio sostiene che le “colpe non sono tutte della politica” ma il problema sta nella corruzione diffusa degli italiani: “la verità, infatti, è che è l’Italia la causa della corruzione italiana. Infatti, “i concorsi più vari sono sempre, in misura maggiore o minore, manipolati … riservati agli amici e ai parenti”, (talvolta) .. direttamente truccati in un modo o nell’altro dai concorrenti con la complicità delle commissioni”; l’evasione fiscale dilagante non ha alcun colore politico; analogamente le violazioni sistematiche di regolamenti urbanistici ed edilizi. E’ frutto di questo male tutto italiano, per E. G. Della Loggia, anche “il sistematico taglieggio che … viene praticato da quasi tutti coloro che offrono una merce o un servizio al pubblico” (società autostradali, telefoniche, banche, ecc.).
Per F. Bernabè (Corriere della Sera del 19.02.10) l’analisi di Galli Della Loggia può dare l’impressione che “la corruzione sia connaturata alla società italiana e che da questa situazione il Paese non possa riscattarsi”. “Dalla corruzione .. ci si affranca … con il rispetto di poche regole semplici che costituiscono l’impalcatura su cui si regge la vita democratica nei Paesi dove la democrazia esiste da tempi più lunghi che da noi. Innanzitutto la contrapposizione di poteri indipendenti. Non solo i tre poteri sanciti dalla Costituzione, ma anche la stampa indipendente, le aziende private che vivono del mercato e non dell’assistenza dello Stato, le autorità di regolazione separate dal potere politico; “nessun potere deve essere lasciato crescere al punto di essere un rischio per tutti gli altri”.
Ancora, per F. Bernabè, “un secondo semplice antidoto al virus della corruzione è il rispetto del criterio del merito”, oggi inesistente in Italia.
S. Romano (Corriere della sera di sabato 20.02.10) invita il Governo a “rendersi conto che non esiste soltanto il denaro rubato, ma anche quello mal guadagnato”. Infatti, “mentre banchieri e gestori di fondi si attribuivano gratifiche che non tenevano alcun conto degli effetti delle loro acrobatiche speculazioni, la classe politica si è regalata salari superiori a quelli dei loro colleghi europei, doppi incarichi, seggi in consigli di amministrazione e una pioggia di «competenze accessorie». Questo arrembaggio allo Stato e alle sue risorse è oggi, dopo i molti libri apparsi sull’argomento (fra cui quelli di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella), uno dei fenomeni meglio documentati della vita italiana. Ma la classe politica, così loquace e polemica in altre circostanze, ha reagito al modo in cui Agostino Depretis, presidente del Consiglio nei primi decenni del Regno, reagiva alle crisi internazionali: apriva l’ombrello e aspettava che la bufera passasse”.
Sul Corriere della Sera di lunedì 22 febbraio 2010, Piero Ostellino, riconduce la matrice dei guai giudiziari e di corruzione che coinvolge l’Italia al pessimo stato di salute della nostra pubblica amministrazione. L’eliminazione di regole e le “privatizzazione” che hanno aumentato e diffuso, anche a livello locale, la “collusione fra politica ed economia”. E, facendo riferimento ad un illustre docente di diritto amministrativo (D. Cofrancesco) evidenzia come “con le modifiche strutturali e di funzionamento dell’Amministrazione, sono aumentate la discrezionalità amministrativa a scapito della legalità e la gestione concordata o contrattata tra enti diversi a scapito della ripartizione di competenze definite da rapporti gerarchici e di controllo”. Inoltre “le privatizzazioni senza mercato hanno trasformato in monopoli privati i monopoli pubblici che, se non altro, dovevano sottostare ai controlli pubblicistici di legge”. Ma anche sul versante del controllo di legittimità, il legislatore ha assegnato alla Pubblica Amministrazione “poteri dispotici”.
Le analisi ed indicazioni sopra riportate, colgono sicuramente nel segno, talune considerazioni sembrano, addirittura, ovvie; se ne parla da diversi anni ma non si perviene al contenimento di fenomeni di palese degenerazione. Solo la magistratura riesce a cogliere, sporadicamente, sia pure con maggiore frequenza di anno in anno, come risulta dai dati forniti dalla Corte dei Conti, alcuni comportamenti criminali.
Dalla sintesi di quanto si va scrivendo sui giornali si desume che:
– E’ necessario che i concorsi non siano truccati;
– l’evasione fiscale deve ridursi entro limiti “fisiologici”;
– i cittadini devono imparare ad osservare le leggi (non solo penali) e i regolamenti;
– i gestori di servizi al pubblico non devono cercare di ingannare l’utente;
– la separazione dei poteri dello Stato deve essere effettiva e funzionante;
– devono coesistere, accanto a ciascun potere, autorità di regolazione e controllo separate dal potere politico;
– nella pubblica amministrazione deve dominare il rigoroso rispetto del criterio del merito piuttosto che nepotismo, clientelismo e favoritismo;
– la politica deve essere moralizzata nella gestione delle risorse pubbliche: oculatezza nella spesa; riduzione dei compensi ai politici.
Ma perché il legislatore non mette mano ad una seria disciplina nella predetta direzione nonostante il comune buon senso suggerisca che si tratta di cose giuste, eque ed opportune?
Perché la maggioranza dei cittadini cerca tutte le scappatoie possibili per aggirare, eludere o violare le leggi?
Mi sembra che nella società in genere, ed in quella italiana in particolare, vi sia una “caduta del senso della moralità e della legalità nelle coscienze e nei comportamenti di molti” come già, nel lontano 1991 e prima della stagione di “tangentopoli”, affermava la Commissione Ecclesiale Giustizia e Pace della Cei in un suo documento (Educare alla legalità).
Per recuperare il senso della moralità e della legalità nella coscienza bisogna che ciascuno comprenda la necessità e l’opportunità di vivere nella “legalità”, tralasciando il perseguimento solo ed esclusivo dell’interesse personale immediato e temporale; è necessario essere portatori autentici di quei “Valori” che fanno desiderare il bene e la giustizia nella vita.
Solo questo tipo di umanità potrà indirizzare le forze politiche ad agire nell’interesse generale vero e non verso il rafforzamento del potere personale o l’accrescimento spropositato della ricchezza.
Solo questo tipo di umanità potrà spingere il singolo ad operare – nel proprio piccolo o piccolissimo – ad agire secondo legalità, giustizia, bene sociale.
E’ necessario che ciascuno di noi sia portatore di legalità ed educatore alla legalità in forza del proprio comportamento e non per le parole pronunciate.
Le azioni concrete di legalità inducono legalità!
Pertanto, il portatore di legalità ed educatore alla legalità se ricopre vertici politici orienta l’azione di governo verso il vero bene comune, e non all’interesse personale o di partito, con leggi ed azioni coerenti.
Alla base della nostra deriva vi è un unico comune denominatore, nella assenza di “valori autentici” in larghi strati della nostra società; ha ragione Galli della Loggia, perché chi fa un concorso cerca la raccomandazione prima di prepararsi sapendo – lui che sacrifica ben volentieri la legalità agli interessi personali – che i singoli componenti della commissione di esame ben poco si preoccupano della legalità (giustizia). Ha ragione Bernabè nel vedere l’assenza di regole nella ripartizione dei poteri dello Stato della amministrazione, perche gli uomini politici mirano al mantenimento del potere non alla legalità (giustizia) nella verità; ha ancora ragione quando dice che manca a tutti i livelli il rispetto del criterio del merito, perché privilegiando il merito si deve mortificare, ancora una volta, l’interesse personale o di partito o di famiglia. Ha ragione Ostellino nel vedere una pubblica amministrazione piegata alla collusione con la politica, perche gli uomini politici e la burocrazia, dai favoritismi (illeciti) e dall’asservimento al potere traggono vantaggi di ogni genere.
E la responsabilità, è a tutti i livelli, dal più basso al più alto, dal più alto al più basso.
Per capire correttamente la gravità dello stato in cui versiamo, non bisogna partire da metà percorso guardando i fenomeni più gravi di concussione e corruzione, ma è necessario guardare al più ampio concetto di legalità/giustizia.
Non può parlare sicuramente di vivere nella legalità; essere educatore e portatore di legalità, chi ha raggiunto un posto di “potere” per vie traverse e non per mezzo di una comparazione meritocratica; non può parlare sicuramente di vivere nella legalità chi quotidianamente compie singoli atti di “approfittamento” o abuso (anche non costituenti reato) a causa del potere che riveste; non può parlare sicuramente di vivere nella legalità chi agisce, nelle attività proprie dell’ufficio che ricopre, (conferimento di incarichi, ecc) con metodi che sfuggono ad ogni controllo di imparzialità e correttezza amministrativa.
La attenzione alla legalità è attenzione ad non commettere nemmeno i piccoli abusi quotidiani che ci fanno comodo e che quasi sicuramente nessuno ci contesterà (es. parcheggiare dove non si può, fare il furbo alla guida della macchina o nella fila allo sportello pubblico, approfittare di piccoli vantaggi sul posto di lavoro).
Questa cultura deve cominciare e prendere radice nella nostra società, ma ci vogliono azioni, fatti, comportamenti coerenti, a qualsiasi livello, di ciascuno di noi.
Sicuramente non ci aiuta, in questo percorso, un presidente del Consiglio preoccupato solo di aumentare il proprio patrimonio e sfuggire alle responsabilità personali!
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