Una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio forma uno strappo peggiore

“Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti
il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore.
E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e
si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi”. (Mc 2, 21-22).

Questa stoltezza evangelica appare evidente – in molte delle norme fiscali del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. nella l. 22 dicembre 2011, n. 214 (per intenderci, quello battezzato dal presidente del Consiglio Monti “salva Italia”) – a chi, dal di dentro, conosce il funzionamento della amministrazione fiscale. Prendo ad esempio il primo comma dell’art. 11 che eleva al rango di reato due comportamenti mendaci nei confronti degli organi di controllo preposti (funzionari dell’Agenzia delle Entrate, delle Dogane e militari della Guardia di Finanza):
1. Esibire o trasmettere atti o documenti falsi in tutto o in parte;
2. fornire dati e notizie non rispondenti al vero (con alcuni limiti introdotti in sede di conversione del decreto legge).
Questa norma, così delicata e complessa nella pratica attuazione, rischia o di ingolfare una magistratura che da parte suo non brilla in efficienza ed efficacia, ovvero di rappresentare un ulteriore strumento di diseguaglianza, parzialità ed ingiustizia sociale; senza apportare alcun miglioramento al contrasto all’evasione.
Infatti non è possibile voler seriamente contrastare l’evasione fiscale con un strutture amministrative senza quelle regole che, preservandone l’indipendenza, privilegino professionalità, equità e giustizia.
Una politica ultraventennale pervasiva ed ingorda di potere ha creato una classe dirigente, nelle strutture pubbliche, professionalmente inadeguata e vergognosamente sottomessa.
Una legislazione ed una prassi, molto lontane dai principi consacrati nella Carta Costituzionale, hanno consentito (tramite l’assurdità della “privatizzazione” del pubblico impiego e il superamento delle procedure meritocratiche nelle nomine dei dirigenti (di vertice e non) la creazione di apparati inefficienti e impossibilitati (per cultura, formazione, sottomissione) a perseguire veri obiettivi di interesse pubblico.
Questa grave anomalia è ancora più radicata nei settori della pubblica amministrazione che, per la loro maggiore incisività sulle situazioni soggettive delle persone (vedasi proprio quello fiscale e l’Agenzia delle Entrate), dovrebbero di più privilegiare indipendenza (dalla politica) e professionalità.
Alcune pronunce, di giudici ordinari che amministrativi ne hanno evidenziato la grave portata ma tutto è rimasto inascoltato nella sua vera portata e nell’indifferenza di chi dovrebbe provvedere a voltare pagina radicalmente nel modo di concepire la Pubblica Amministrazione che non può essere che “res-publica” (non “appannaggio” di qualcuno), con regole sue proprie, molto diverse da quelle del rapporto privatistico ove le parti in causa perseguono interessi privati.
In questi giorno – cosa inaudita! – si sente qualcuno che parla della possibilità di licenziare (ma da chi? Con quali criteri?) i dipendenti pubblici. In tal modo si assesta il colpo mortale all’indipendenza del dipendente pubblico e, con essa, ad efficacia, efficienza ed eguaglianza dell’Amministrazione.
Ma è mai possibile che non si è capito che il problema maggiore della pubblica amministrazione è la mancanza al suo interno di professionalità ed indipendenza: che sono le due facce della stessa medaglia.