Corruzione allargata
A venti anni di distanza dall’inizio dell’inchiesta “mani pulite” si discute sul livello di corruzione in Italia: se la scoperta di uno stato di corruzione politica diffusa, con l’azzeramento dei maggiori partiti di allora, abbia prodotto dei frutti positivi ovvero se nulla sia cambiato dagli anni della Democrazia Cristiana e del socialismo rampante di Craxi.
Sugli effetti di “mani pulite” sono divisi anche alcuni dei pubblici ministeri che condussero le indagini (P.C. Davigo e G. Colombo). Comunque, a sentire le relazione dei Procuratori Regionali della Corte dei Conti, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, la corruzione è dilagante e diffusa, sia nella politica che nelle Pubbliche Amministrazioni.
Qual è la relazione tra la situazione odierna e le indagini penali del 1992/1993?
Una conseguenza, sia pure indiretta, si può riscontrare nell’impegno profuso dai parlamenti, in particolare del 2004 in poi, ad approvare una serie di modifiche normative, da un lato di depotenziamento della sanzione penale per fatti normalmente propedeutici o connessi a comportamenti corruttivi e, dall’altro, di liberazione delle procedure amministrative dai vincoli, sempre posti da un legislatore accorto, a presidio dei principi costituzionali fondamentali di una moderna democrazia (eguaglianza, imparzialità, buon andamento, trasparenza, ecc).
Per quanto riguarda il primo aspetto – come va ripetendo spesso il dott. P.C. Davigo – dal 1990 in poi sono state apportate così tante (ed apparentemente piccole) modifiche al sistema penale che nel loro complesso hanno reso penalmente non rilevanti anche comportamenti che violano principi fondamentali, della convivenza democratica, sanciti dalla Costituzione Repubblicana.
Basta ricordare l’abolizione del reato di falso in bilancio; l’abolizione del reato di interesse privato in atti d’ufficio ed il restringimento dell’ambito di operatività del reato di abuso d’ufficio.
Per questi ultimi due reati Nicola Gratteri e Antonio Mazzone (il Sole 24 ore del 22.02.2012) ricordano come il soppresso reato di “interesse privato in atti d’ufficio” costituisse una norma, .. , di “chiusura”del sistema dei reati contro la pubblica amministrazione; nel senso che ritenuta, sia pure tra molte oscillazioni, volta alla tutela (anche) del prestigio della pubblica amministrazione, tale norma svolgeva la funzione, in una prospettiva di tutela anticipata della corretta finalizzazione delle attività pubbliche, di reprimere qualunque commistione tra interesse pubblico e interesse privato nel loro svolgimento”.
Con riferimento alla modifica del reato di abuso d’ufficio, Gratteri e Mazzone sostengono che nella versione novellata nel 1997 “l’area (dell’attività amministrativa) che avrebbe necessitato di maggior attenzione in sede penale, a causa di una minore possibilità di tutela con lo strumento del ricorso giurisdizionale amministrativo, e cioè quella dell’attività pubblica caratterizzata dalla “discrezionalità”, è “scoperta” anche sotto il profilo della possibilità di sindacato in sede penale”.
Passando all’aspetto del superamento delle preesistenti procedure amministrative di organizzazione della Pubblica Amministrazione, resta incomprensibile come sia stato possibile non capire che le norme sul pubblico impiego “privatizzato” non sono assolutamente idonee ad assicurare un corretto funzionamento delle Istituzioni. Ciò per il semplice fatto che mentre il privato, nella organizzazione aziendale e nella scelta del management, ha un interesse diretto e personale nel buon funzionamento dell’azienda; questo stesso interesse non è per niente scontato, né presupposto nei responsabili delle strutture pubbliche!
Pertanto, non vi è dubbio che, da un lato il depotenziamento del presidio penale e dall’altro la privatizzazione del pubblico impiego, con la eliminazione delle regole di separatezza tra politica ed amministrazione nonchè delle regole di trasparenza e rilevanza pubblica nelle scelte organizzative, costituiscono viatico non solo a mal funzionamento ed inefficienza della Pubblica Amministrazione stessa, ma anche alla corruzione più raffinata nella forma dello scambio di favoritismi.
In tale contesto il Tribunale Amministrativo Regionale – particolarmente sensibile al buon funzionamento ed all’imparzialità della Pubblica Amministrazione – può affermare in una sua sentenza (Ricorso Dirpubblica – Federazione Funzionari Professionisti e Dirigenti delle Ppaa e delle Agenzie Fiscali Contro l’Agenzia delle Entrate ), senza causare alcun scossone nella struttura dell’amministrazione soccombente, di aver riscontrato, nell’operato dell’Agenzia delle Entrate stessa, “il dato indiscutibile del contrasto della scelta organizzativa del conferimento di incarichi dirigenziali, senza concorso, a funzionari privi della qualifica dirigenziale, con la puntuale disciplina di cui agli artt. 19 e 52 del d. lgs. n. 165/2001”.
Ed ancora, sempre a proposito dell’operato dell’Agenzia delle Entrate, i giudici evidenziano come sia stata introdotta e consolidata nel tempo”una situazione complessiva di grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e delle garanzie relative all’accesso alle qualifiche, alla selezione del personale e allo svolgimento del rapporto”.
Infine, sostengono sempre i giudici amministrativi, che “una deroga così ampia sul piano quantitativo e temporale al principio del reclutamento del personale dirigenziale mediante il sistema concorsuale per la copertura delle posizioni dirigenziali è valsa ad introdurre e consolidare nel tempo una situazione complessiva di grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e delle garanzie relative all’accesso alle qualifiche, alla selezione del personale e allo svolgimento del rapporto”.
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